Dolore cronico e Fibromialgia
Il dolore cronico è stato riconosciuto dalla OMS come una vera e propria patologia a sé per gli effetti ad esso connessi. Esso ha degli aspetti pervasivi che prendono tutta la vita della persona che ne soffre, compromettendo seriamente lo stato di benessere generale. Per questo non è possibile riferirsi al dolore solo in termini di intensità.
Dietro c’è tutta la vita di una persona che, progressivamente, cambia il suo modo di comportarsi e, pian piano, rinuncia a fare moltissime cose che prima le davano benessere. Così possono comparire l’ansia di non riuscire più a liberarsene e la depressione, legata al pensiero di doverci convivere per sempre.
Tutto inizia ad essere difficile perché, qualsiasi movimento la persona faccia, induce dolore e noi ci muoviamo in continuazione: per andare al lavoro, per fare la spesa, per uscire con gli amici, per portare i figli a scuola.
Mal di schiena, emicrania, fibromialgia, nevralgie, vulvodinia, colon irritabile, sono solo alcuni nomi di malattie caratterizzate dalla presenza di dolore cronico. Ognuna è diversa per caratteristiche ed insorgenza, ma tutte condividono il fatto che, da quel momento in poi, il dolore farà parte della tua vita per sempre.
La fibromialgia
Sempre più persone, in particolare donne, ricevono una diagnosi di fibromialgia. Essa è definita una “sindrome cronica” perchè è caratterizzata da diversi sintomi fisici e psicologici (viene chiamata la “Malattia dai 100 sintomi). Le persone che ne soffrono sviluppano spesso sintomi depressivi e ansiosi che minano la loro qualità di vita, le relazioni e la fiducia in se stessi. Questi esiti non sono direttamente legati al dolore fisico, che spesso è altalenante, ma all’innescarsi di una lotta interna contro il proprio corpo e la propria condizione, sostenuta dalla difficoltà di sentirsi riconosciuti nel disagio, invisibile dall’esterno, e dal conseguente senso di isolamento.
Con il paziente fibromialgico è importante riuscire a distinguere gli effetti del dolore strettamente connesso alla patologia, da quelli secondari o psicologici, e aiutarlo a riprendere gradualmente l’attività fisica e il movimento. Per questo nella presa in carico di questo paziente sono fondamentali più figure: lo psicologo, il fisioterapista, l’algologo, l’osteopata, il personal trainer.
Alla luce dei nuovi studi, l’EULAR (Lega Europea contro i Reumatismi) ha quindi definito come prima linea nel trattamento di questa sindrome proprio la terapia non-farmacologica, in un progetto da condividere con il malato; solo in caso di fallimento andrebbero introdotti i farmaci.
Quali sono quindi le terapie non-farmacologiche utili nella fibromialgia?
Principalmente: l’esercizio aerobico e di rinforzo, l’idroterapia e la terapia cognitivo-comportamentale. Sicuramente utile e da non escludere la possibilità che vi possa essere associazione tra di esse, come per esempio nel caso dell’esercizio aerobico e della terapia psicologica.
Non c’è una formula che funziona con ogni paziente, purtroppo, ma occorre andare per tentativi e trovare quella strada che porta la persona progressivamente a stare meglio.
Il ruolo dello psicologo nel trattamento del dolore cronico
La legge n.38 del 15 marzo 2010 riconosce la figura dello psicologo tra le professioni dedicate alla cura del dolore cronico.
La psicologia, la psicoterapia e la psicofisiologia, agendo sulle strutture del sistema nervoso centrale coinvolte nell’esperienza dolorosa, hanno studiato e formalizzato interventi allo scopo di cambiare l’intensità della percezione e il vissuto di sofferenza. Tali tecniche, si presentano ad oggi, come valido supporto alle terapie farmacologiche e fisiche.
È esperienza comune sentire maggiormente il dolore sotto stress piuttosto di quando si è rilassati. Sulla base di questa semplice evidenza, è possibile apprendere tecniche di rilassamento emotivo e fisico che ostacolano la percezione del dolore. La Terapia Cognitivo Comportamentale è il trattamento elettivo per il dolore cronico perché aiuta la persona ad acquisire strategie concrete e pratiche per gestire il proprio problema.
In questo anche terapie psicologiche di nuova generazione come l’ACT (Acceptance and Commitment Therapy) aiutano a distinguere il “dolore pulito” (l’esperienza oggettiva del dolore) dal “dolore sporco” (la reazione emotiva che abbiamo alla percezione del dolore), passando da “vittima” del proprio male, ad “attore attivo”, che sa gestire qualcosa che suo mal grado è parte di sé.
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