Ipocondria: sono sano, ma mi sento malato

Per molti di noi, un sintomo è solo un sintomo. A meno che non desti la nostra attenzione in modo significativo per grandezza, colore o malessere che crea, la maggior parte di noi trascura le sensazioni o le modificazioni che il nostro ho corpo ha nel corso del tempo. Ma non è così per tutti. Alcuni se ne preoccupano, fino a rovinare la propria vita.

Un dolore allo stomaco, la preoccupazione, la corsa dal medico, visite ed esami che non confermano la presenza di alcun disturbo. “Eppure non è possibile, il dolore lo sento. Sarà una malattia grave e quel medico non ha capito nulla, non mi fido. Vado da un altro”. Così, in genere, inizia il percorso di una persona che soffre di ipocondria. Le sensazioni fisiche ci sono, si sentono, ma nessun esame rileva alcunchè e la preoccupazione aumenta. In altri casi, l’ennesimo accertamento sembra dare un po’ di tranquillità e pace, ma per poco tempo, fino a quando non compare un nuovo sintomo, allora l’iter ricomincia.

L’ipocondria o disturbo da ansia di malattia
L’ipocondria è una condizione di estrema preoccupazione di avere una malattia. Le persone che ne soffrono sperimentano non solo sintomi fisici, che sono inspiegabili dal punto di vista medico, ma anche pensieri, sentimenti e comportamenti anomali. Ad esempio, in genere hanno pensieri persistenti sulla gravità delle sensazioni corporee che avvertono e trascorrono una quantità eccessiva di tempo cercando una diagnosi, ispezionando il proprio corpo, monitorando i cambiamenti e ricorrendo a medici ed esami. La loro angoscia è reale.

Sebbene questo disturbo sia comunemente noto come “ipocondria”, nel DSM-V (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) esso rientra nella categoria dei “Disturbi da ansia di malattia”. Come puntualizza questo manuale, il disagio dell’individuo non proviene principalmente dal sintomo in sé, quanto piuttosto dall’ansia derivante dal senso, significato o causa attribuitavi (APA, 2013).

Con la pandemia siamo diventati un po’ tutti più attenti ai sintomi, preoccupati dal rischio di aver contratto il Covid e di diffonderlo alle persone con cui siamo entrati in contatto. Perchè si parli però di Ipocondria ci devono essere degli elementi specifici.

I sintomi
L’Ipocondria è caratterizzata principalmente da:
• preoccupazione eccessiva e sproporzionata di avere una grave malattia, non avvalorata da nessuna prova medica
• eccessivi comportamenti correlati alla salute (per es., controllare ripetutamente il proprio corpo cercando segni di malattia) o evitamento disadattivo (per es., evitare visite mediche e ospedali per paura di scoprire qualcosa di grave)
• preoccupazioni e sensazioni non diminuiscono a seguito di esami medici ad esito benigno
• una vita che ruota tutta attorno alla malattia, nel tentativo di: prevenire o arrestare il peggioramento, avere una diagnosi certa, modificare le proprie abitudini in quanto ci si sente malati

L’incidenza dell’ ipocondria nei campioni clinici va dallo 0.8 al 9.5% (Creed & Barsky, 2004; Fink et al., 2004). L’età più comune di esordio è la prima età adulta, mentre il decorso è generalmente cronico, anche se talora si verifica una completa remissione.

Spiegazioni ipocondria
La persona che soffre di questo disturbo non riconosce la causa psicologica di esso e persevera nella ricerca di una spiegazione medica. Alcune mie pazienti si espongono a continui esami clinici, fino a che, la comparsa di un nuovo sintomo, sposta la loro attenzione su altro.

Purtroppo, essendo il medico di base la loro prima fonte di richiesta di accertamenti, spesso si lamentano che non si sentano più credute, il che le espone alla possibilità che venga sottovalutata una “malattia vera”.

In altri casi, la ricerca avviene su internet, cosa che dà risultati distorti, spesso catastrofici, aumentando l’ansia e l’agitazione, i controlli e la ricerca di rassicurazioni e accertamenti.
“Dottoressa, ma io li sento i sintomi, ci sono davvero!” continuano a ripetermi. E hanno pienamente ragione! Non si stanno inventando proprio nulla, ma faticano a comprendere che il nostro corpo produce continuamente sintomi e si modifica nel tempo. Questo avviene in tutti noi senza che ce ne rendiamo conto.

Se però io ci faccio attenzione e do un’interpretazione catastrofica di quello che sento, molto probabilmente ne determinerò l’amplificazione e finirò per sentirlo ancora di più. Se poi aggiungo monitoraggi e ricerche continue, la mia attenzione ruota tutta attorno alla malattia, non permettendomi di avere una visione più realistica.
Altre pazienti si tastano continuamente alcune parti del corpo e finiscono per causarne la loro infiammazione o rigonfiamento, il che viene letto come conferma delle proprie convinzioni.

Il circolo vizioso
Ecco così che l’Ipocondria porta la persona ad entrare in un circolo vizioso che, nel libro “Ipocondria, guida per il clinico e manuale per chi ne soffre del disturbo” (2011) viene sinteticamente riassunto nel “Fiore dell’ipocondria”.

Come si può vedere da questa raffigurazione, alla base del disturbo (nelle radici che affondano nel terreno) ci sono dei fattori predisponenti. (genetici, familiari, ambientali ed eventi di vita). Poi accade un evento precipitante (es. la diagnosi della malattia in qualcuno familiare oppure l’aver vissuto un evento di vita legato alla malattia) che determina la nascita del fiore. Il rimuginio, ossia il continuare a pensarci e farci attenzione, rende il terreno fecondo per la crescita e lo sbocciare del nostro fiore in cui, comportamenti, pensieri ed emozioni, mantengono la preoccupazione.

Ipocondria: la cura
La sfida per qualsiasi trattamento dell’ipocondria è educare i pazienti sulla natura del loro disturbo e su cosa lo scatena. La forma di psicoterapia che la ricerca scientifica ha dimostrato essere più efficace è la Terapia Cognitivo-Comportamentale (CBT) In terapia il paziente diventa parte attiva nella risoluzione del disturbo e apprende modalità di pensiero, gestione delle emozioni e comportamento più funzionali. (Barsky & Ahern, 2004; Bouman & Visser, 1998; Taylor, Asmundson & Coons, 2005; Olde Hartman et al., 2009). La CBT prende di mira diversi aspetti dell’ipocondria contemporaneamente.

Fondamentalmente, lavora sui pensieri distorti, come l’interpretazione catastrofica e l’aspettativa di esiti disastrosi. Ai pazienti viene insegnato, ad esempio, a esaminare le prove e a sfidare i loro pensieri automatici, ad identificare il pensiero “tutto o niente”, a non saltare alle conclusioni (quel dolore al braccio significa che sto avendo un attacco di cuore), evitando di focalizzarsi solo sulle prove negative e considerando anche quelle positive.

Le persone imparano anche modi alternativi per affrontare i sintomi, tralasciando i controlli e le rassicurazioni. Infine apprendono anche tecniche per la gestione delle emozioni e dell’ansia, rilassando il corpo, utilizzando la respirazione diaframmatica e praticando la Mindfulness.

E’ un trattamento pratico, efficace che pian piano evita di “ammalarsi (psicologicamente) per la paura di ammalarsi (fisicamente)”.

Dott.ssa Michela Arru
Psicologa e psicoterapeuta

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