Dolore cronico: tra psiche e corpo

Il dolore cronico è stato riconosciuto dalla OMS come una vera e propria patologia a sé per gli effetti ad esso connessi. Il dolore ha degli aspetti pervasivi che prendono tutta la vita della persona che ne soffre, compromettendo seriamente lo stato di benessere generale. Per questo non è possibile riferirsi ad esso solo in termini di intensità.

Dietro il dolore c’è tutta la vita di una persona che progressivamente si spegne ed inizia a rinunciare a fare moltissime cose che prima le davano benessere. Pian piano compaiono l’ansia di non riuscire più a liberarsene e, il pensiero di doverci convivere per sempre, induce depressione.

Tutto inizia ad essere difficile perché, qualsiasi movimento la persona faccia, induce dolore e noi ci muoviamo in continuazione: per andare a lavoro, per fare la spesa, per uscire con gli amici, per portare i figli a scuola.

DOLORE CRONICO: NON BASTA UNA PASTIGLIA
Nella nostra vita siamo abituati a prendere un farmaco per risolvere le problematiche di tipo fisico: hai mal di testa? Prendi un Moment, l’Oki, il Brufen. Hai la febbre? Tachipirina. Il raffreddore? Aspirina. Solo per citarne alcuni. Ma se soffri di dolore cronico non esiste NIENTE.

Si, hai letto bene. NIENTE. Le persone non ci credono ed immancabilmente consigliano i normali farmaci da banco per la cura dei dolori ACUTI. Col dolore CRONICO non funziona nulla, a meno che tu decida di annebbiarti la mente e non permetterle di star a contatto col dolore. Su questo gli Oppiodi e i farmaci a base di Codeina (derivato della Morfina) fanno il loro lavoro. Ma a che prezzo?

Mal di schiena, emicrania, fibromialgia, nevralgie, vulvodinina, colon irritabile, sono solo alcuni nomi di malattie caratterizzate dalla presenza di dolore cronico. Ognuna è diversa per caratteristiche ed insorgenza, ma tutte condividono il fatto che, da quel momento in poi, il dolore farà parte della tua vita per sempre.

IL DOLORE E LA SUA FUNZIONE
Da una prospettiva funzionale, il dolore agisce come un sistema di allarme in grado di indicare precocemente la presenza di un danno. In questo senso, esso svolge un ruolo di chiaro valore adattivo per la salute e il benessere degli esseri viventi.
Tuttavia, quando il dolore si trasforma da episodio acuto in condizione cronica, cioè quando la sua durata si protrae oltre al normale tempo di guarigione, esso perde il carattere funzionale di allarme e acquisisce le caratteristiche della malattia cronica (Bonica, 1953).

Spesso la medicina fa difficoltà a quantificare il dolore di una persona, questo perché l’esperienza soggettiva di ognuno di noi è diversa e legata anche al carattere e alle esperienze della persona stessa. Credo che mio nonno, in Sardegna, fosse molto più capace di tollerare il dolore rispetto a me, tante ne aveva viste nella sua vita.

Oltre alla variabile caratteriale (ricordiamo che il carattere non è definito geneticamente, ma un qualcosa che si costruisce nel tempo, con l’educazione familiare e le esperienze di vita), c’è quella temperamentale: ognuno ha una soglia del dolore specifica.

Quando il dolore cessa di indicare un danno risolvibile e si cronicizza, corpo e mente vengono messi a dura prova, innescando un circolo vizioso del tipo: ho dolore – non mi muovo – mi sento ansioso e depresso – mi concentro sul dolore – rinuncio alle attività che mi facevano star bene = ansia e depressione + dolore.

FIBROMIALGIA E DOLORE
Sempre più persone, in particolare donne, ricevono una diagnosi di fibromialgia. Essa è una sindrome cronica che produce diversi sintomi fisici e psicologici (viene chiamata la “Malattia dai 100 sintomi”). Le persone affette da questo disturbo spesso sviluppano sintomi depressivi e ansiosi che minano la loro qualità di vita, le loro relazioni, la fiducia in se stessi. Questi esiti non sono direttamente legati al dolore fisico, che spesso è altalenante, ma all’innescarsi di una lotta interna contro il proprio corpo e la propria condizione, sostenuta dalla difficoltà di sentirsi riconosciuti nel disagio, invisibile dall’esterno, e dal conseguente senso di isolamento.

Con il paziente fibromialgico è importante riuscire a distinguere gli effetti del dolore strettamente connesso alla patologia, da quelli secondari o psicologici, e aiutarlo a riprendere gradualmente l’attività fisica e il movimento. Per questo nella presa in carico di questo paziente sono fondamentali più figure: lo psicologo, il fisioterapista, l’algologo, l’osteopata, il personal trainer.

Alla luce dei nuovi studi, l’EULAR (Lega Europea contro i Reumatismi) ha quindi definito come prima linea nel trattamento di questa sindrome proprio la terapia non-farmacologica, in un progetto da condividere con il malato; solo in caso di fallimento andrebbero introdotti i farmaci.

Quali sono quindi le terapie non-farmacologiche utili nella fibromialgia?
Principalmente: l’esercizio aerobico e di rinforzo, l’idroterapia e la terapia cognitivo-comportamentale. Sicuramente utile e da non escludere la possibilità che vi possa essere un’associazione tra di esse, come per esempio nel caso dell’esercizio aerobico e della terapia psicologica.
Non c’è una formula che funziona con ogni paziente, purtroppo, ma occorre andare per tentativi e trovare quella strada che porta la persona progressivamente a stare meglio.

IL RUOLO DELLO PSICOLOGO NEL DOLORE CRONICO
La legge n.38 del 15 marzo 2010 riconosce la figura dello psicologo tra le professioni dedicate alla cura del dolore cronico.
La psicologia, la psicoterapia e la psicofisiologia, agendo sulle strutture del sistema nervoso centrale coinvolte nell’esperienza dolorosa, hanno studiato e formalizzato interventi allo scopo di cambiare l’intensità della percezione e il vissuto di sofferenza. Tali tecniche, si presentano ad oggi, come valido supporto alle terapie farmacologiche e fisiche.

È esperienza comune sentire maggiormente il dolore sotto stress piuttosto di quando si è rilassati. Sulla base di questa semplice evidenza, è possibile apprendere tecniche di rilassamento emotivo e fisico che ostacolano la percezione del dolore. La Terapia Cognitivo Comportamentale è il trattamento elettivo per il dolore cronico perché aiuta la persona ad acquisire strategie concrete e pratiche per gestire il proprio problema.

In questo anche terapie psicologiche di nuova generazione, come l’ACT (Acceptance and Commitment Therapy), aiutano a distinguere il “dolore pulito” (l’esperienza oggettiva del dolore) dal “dolore sporco” (la reazione emotiva che abbiamo alla percezione del dolore), passando da “vittima” del proprio male, ad “attore attivo”, che sa gestire qualcosa che suo mal grado è parte di sé.
DOLORE E MOVIMENTO
Perché il dolore e il movimento sembrano influenzarsi tra loro? Perché l’esercizio è utile a mantenere il nostro corpo attivo, con tutto il beneficio dell’umore.
Chi soffre di dolore cronico sviluppa spesso una forma di Chinesofobia o paura del movimento, perché teme che possa innescare ancora più dolore. Questo in parte può succedere all’inizio, ma se si procede con gradualità, rifunzionalizzando ed equilibrando i tessuti e facendo esercizi specifici (meglio evitare il fai da te), il beneficio pian piano sopraggiunge.

Se ti ho incuriosito, ti annuncio che mercoledì 11 gennaio, alle ore 13.30, farò una diretta su Instagram col dott.Chelleri, Fisioterapista specializzato in dolore cronico. Sarà un incontro tra due figure professionali che si occupano di dolore e uniscono gli sforzi per migliorare la qualità di vita del paziente.

Dott.ssa Michela Arru
Psicologa e psicoterapeuta cognitivo comportamentale

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