L’esperienza del fallimento è spesso un qualcosa di doloroso per tutti, perché ci pone a confronto con i nostri errori e limiti, anche solo temporanei. Talvolta pensiamo che solo gli adulti possano sperimentarla, invece sempre più giovani si preoccupano di fallire e mettono in atto comportamenti disfunzionali per prevenirlo (es. non provare neanche a fare le cose) o per nasconderlo (es. accusando altri o celandolo).

Così sbagliare viene visto sempre e solo in un’accezione negativa, con il rischio di produrre pensieri che ci abbattano e non ci spingano a reagire alla situazione.

I giovani e il fallimento

Ciò è particolarmente vero per gli adolescenti che lottano quotidianamente con molteplici domande riguardanti se stessi e l’inadeguatezza personale e tendono a prendere a cuore qualsiasi tipo di fallimento.

“Se non riesco a fare la squadra, sono incompetente?”

“Non riesco a vincere la partita, sono un perdente?”

“Fatico ad un appuntamento, sono poco attraente?”

“Non riesco mantenere un’amicizia, gli altri mi allontanano?”

“Se non vengo invitato ad una festa, sono impopolare?”

“Non riesco ad imparare appena mi cimento in qualcosa, sono stupido/a?”

“Se non mi adeguo, sono un disadattato?”

Quegli adolescenti che rispondono “sì” alla maggior parte di queste domande rischiano di affidare il loro valore personale ad un risultato e sviluppare un dialogo interno negativo su se stessi.

Il dialogo interno

Nel peggiore dei casi, quando un’esperienza di fallimento viene vista come immodificabile, la prestazione fallimentare è equiparata all’essere un fallimento come persona. Così al senso di fallimento viene dato un valore duraturo e il dialogo interno diventa: “sarò sempre un fallimento” o “non sono altro che un fallimento”. Tutti questi sono giudizi distruttivi perché deprimono lo sforzo e disabilitano la speranza.

In questi casi, il fallimento è punitivo non per se stesso, ma perché il/la ragazzo/a usa l’esperienza per stigmatizzarsi: “ho sbagliato di nuovo!”, “non posso fare niente di giusto!”, “non imparerò mai!”, “non passerò mai l’esame”, “sono tutti più intelligenti di me!”, “sono davvero stupido/a!” ,”non vale neanche la pena provarci!”. Quando la scuola diventa un luogo di sicuro fallimento, molti studenti iniziano a odiarla, rinunciando a studiare.

Tale esperienza porta ad un punto di scelta, come una situazione” sliding doors”: essa può minare lo sforzo, e spingere a mollare, oppure può ispirare determinazione. È la seconda risposta che i genitori devono incoraggiare nei quando si verifica un fallimento.

I giovani e il fallimento: come aiutarli

Insegnare il fallimento non è cosa da poco. Impararlo da soli ancora di più. I giovanissimi di oggi non ne sono capaci. Seguono la didattica del “vincitore”: bisogna sempre essere primi, essere i migliori, essere ammirati da tutti.

Viviamo anche in una società che mette in mostra sempre chi è primo, chi emerge. Ma cosa accade quando, ad un certo punto, si fallisce? Come i giovani affrontano questa esperienza?

Purtroppo quello che emerge è che gli adolescenti di oggi risultano sprovvisti degli strumenti per rielaborare la sconfitta, il lutto, la perdita, con il rischio che diventino praticamente degli “analfabeti emotivi” o, meglio ancora, degli “insensibili” rispetto al dolore.

Anche le esperienze negative insegnano

Perché anche il dolore serve, anche se fa male, fa crescere, porta ad evolversi, non è sempre e solo una cosa negativa. Il dolore può trasformarsi in qualcosa di positivo.

I giovani di oggi risultano iperstimolati fin da piccoli ad aspettative elevate, non solo familiari, ma della società in generale dove conta il successo e la spettacolarità, l’estetica e la bellezza. Questo fa sì che quando arriva, l’adolescenza si caratterizza per un crollo di aspettative, di quegli ideali talmente elevati per i quali non si è mai all’altezza.

«NON SONO ABBASTANZA» è la frase che sento più ripetere in terapia dagli adolescenti.

La vita è fatta anche di inciampi, fallimenti e non bisogna negarli, ma imparare ad utilizzarli per il futuro.

E’ importante però trasmettere il concetto che: ANCHE DALLE CADUTE, seppur dolorose, S’IMPARA e che il successo non è uno stadio tutto-o-nulla, ma è frutto di un PERCORSO, di un PROCESSO che passa anche attraverso cadute e sconfitte.

Aiutiamo i giovani a diventare RESILENTI.

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