Depersonalizzazione e derealizzazione: sintomi e cure
Il Disturbo da Depersonalizzazione (DPD) è una problematica psicologica poco conosciuta.
Molte persone ne soffrono o ne hanno sofferto nell’arco della loro vita. In molti casi non è stato diagnosticato o è stato scambiato per un altro disturbo. E anche quando la diagnosi è stata effettuata correttamente, spesso i clinici non sanno quale sia il trattamento migliore da offrire.
Vediamo in che cosa consista, quale siano le sue caratteristiche e quali i migliori modi per riuscire a gestirlo.
LA DEPERSONALIZZAZIONE
Molte persone si sono sentite depersonalizzate ad un certo punto della loro vita senza saperlo. Può succedere di aver percepito di essere emotivamente distaccati e sconnessi da sé stessi, come se si stesse guardando le proprie vite da spettatori.
La depersonalizzazione può dare la sensazione di essere chiusi in una bolla, di non provare emozioni e di non percepire davvero quello che succede attorno. Si può avere anche l’impressione di agire in maniera automatica, di non provare alcuna sensazione e di esser stranamente distaccati. E’ come se mancasse il coinvolgimento emotivo.
Talvolta questo disturbo si associa alla Derealizzazione, ma ci può essere anche l’una senza l’altra.
LA DEREALIZZAZIONE
Mentre la depersonalizzazione è una percezione alterata di sé e di ciò che si prova, la derealizzazione riguarda prevalentemente l’ambiente. Le persone che ne soffrono hanno l’impressione che il mondo esterno sia strano o irreale.
La percezione visiva può apparire disturbata (le cose sembrano più grandi o più piccole di come sono in realtà), gli oggetti dell’ambiente possono sembrare strani, ci si sente rallentati o troppo veloci nei movimenti oppure si hanno sensazioni fisiche e percezioni insolite.
QUANDO SI VERIFICANO?
La depersonalizzazione e la derealizzazione possono essere fenomeni transitori e comuni nella popolazione generale (Seth, Suzuki & Critchley, 2012). Non sempre si manifestano come un problema grave o persistente. In alcuni casi queste sensazioni durano soltanto ore, in altri interi giorni e, in altri ancora, settimane o mesi; c’è poi chi le subisce per tutto il resto della sua vita.
Talvolta possono anche emergere occasionalmente a seguito del consumo di droghe (cannabis in primis), come effetti collaterali di farmaci o come sintomo di altri disturbi, come nel Disturbo Borderline di Personalità, nel Disturbo Ossessivo Compulsivo, nell’ Ipocondria e nel Disturbo da Attacchi di Panico (Madden & Einhorn, 2018)
Depersonalizzazione e derealizzazione non sono fenomeni tutto o nulla, ma si possono collocare all’interno di un continuum che va da episodi che potremmo definire “funzionali al benessere” della persona, fino a quelli più disfunzionali (dissociazione).
Quando questa modalità di gestire le difficoltà è limitata ad un breve momento di vita, infatti risulta anche adattiva; ma quando questo processo s’inceppa e persiste per molto tempo, allora diventa disfunzionale.
Distinguiamo quindi una depersonalizzazione/derealizzazione episodica (temporanea) e cronica:
Il primo tipo può essere visto come una tendenza naturale del nostro repertorio emotivo: di fronte alla sofferenza psicologica estrema, la nostra mente cerca di governare il corpo come un pilota automatico, per evitare di prendere decisioni impulsive o stare troppo male.
All’inizio infatti la nostra mente invia un segnale di angoscia. Quando questo segnale viene inviato ancora e ancora, per un lungo periodo di tempo, la mente alla fine può arrivare a inibire la reazione emotiva, poichè il percepire l’angoscia non aiuta a stare meglio. Ci si sente, così, anestetizzati.
E’ chiaro però che utilizzare questa strategia tanto tempo può far prendere una piega sbagliata. Infatti la depersonalizzazione e derealizzazione cronica portano poi al Disturbo Dissociativo (secondo DSM-5 e APA 2013).
LE CAUSE
Tutto quello che determina un’estrema sofferenza può provocare un’esperienza di depersonalizzazione e derealizzazione.
La maggior parte delle persone iniziano a percepirne i sintomi dopo un’esperienza psicologicamente ed emotivamente intensa, come la perdita della persona amata, un lutto, traumi psicologici o fisici.
Perché ciò avviene?
Le ricerche suggeriscono che possa essere una strategia attivata dal cervello per fronteggiare meglio le situazioni in cui si sperimentano emozioni intense o negative prolungate. In tutti questi casi, si attiva una sorta di difesa che separa il dolore dalla mente cosciente, permettendo così di rimanere padroni di sé stessi, anche se apparentemente anestetizzati o insensibili.
I SINTOMI
Le caratteristiche principali del Disturbo di Depersonalizzazione (DPD) e Derealizzazione sono:
· sensazione di distacco emotivo
· sentirsi spettatori della propria vita, come se fosse di qualcun altro.
· difficoltà di concentrazione sul lavoro o nelle attività quotidiane
· sentirsi disorganizzati e confusi
· sensazione di irrealtà
· sentirsi come dentro una bolla
· impressione che il mondo esterno sia strano e irreale
· percezioni fisiche insolite
LE CURE
I sintomi sono quasi sempre fonte di malessere e disagio. Se questa esperienza non si risolve e perdura nel tempo può diventare essa stessa la prima fonte di sofferenza.
I principali trattamenti degni di efficacia sono:
1. Terapia Cognitivo Comportamentale
Questa forma di terapia s’incentra in particolar modo sui pensieri e sui comportamenti che rinforzano e mantengono questo disturbo. Chi ne soffre ha pensieri negativi circa la possibilità di star meglio, il che determina un circolo vizioso che porta a notare ancora di più i sintomi e ad evitare situazioni che sono fonti di disagio. Così facendo però, la persona rimane in balia del suo disturbo: più non lo vuole e più finisce per sentirlo. Le tecniche che vengono apprese in terapia mirano quindi a modificare il dialogo interno, affrontare le situazioni fonti di disagio e lavorare su tre elementi: corpo, mente ed emozioni.
2. Acceptance and Commitment Therapy (ACT)
In italiano si può tradurre come “Terapia dell’accettazione e dell’impegno all’azione”. Questa forma di trattamento parte dal presupposto che la sofferenza umana fa parte della vita e, a volte, combattere contro di essa e cercare ossessivamente una via d’uscita, non fa che perpetrare questa sofferenza. Per questo motivo, con l’ACT si lavora sull’accettare di ciò di cui non ho il controllo e, nel mentre, ci si muove in direzione dei valori e di ciò che conta per la persona.
3. Mindfulness
Proprio perché nella depersonalizzazione e derealizzazione ci si sente distaccati dalla realtà, la Mindfulness, con la sua attenzione al presente e la concentrazione sui sensi, favorisce quello che si chiama il “grounding”, ossia il contatto con sé stessi e ciò che ci circonda. Questa pratica aiuta a disattivare il pilota automatico, concentrarsi su una sola cosa pervolta, a “lasciar andare” i pensieri e a stare nel qui e ora.
4. Terapia Dialettico-Comportamentale (DBT)
Questo tipo di trattamento, utilizzato nella cura del Disturbo Borderline di Personalità, può essere anche utile nel caso di depersonalizzazione e derealizzazione perché prevede delle tecniche per tollerare la sofferenza, adottare una mente saggia (Mindfulness), gestire le relazioni interpersonali e le emozioni.
Per quanto concerne la terapia farmacologica, al giorno d’oggi non ci sono linee guida ed evidenze scientifiche a supporto di nessun farmaco specifico. Questo non significa che i farmaci non possano servire. Gli antidepressivi e gli ansiolitici si sono dimostrati efficaci in certi casi. Alcuni pazienti hanno reagito bene agli antidepressivi assunti assieme a degli agonisti degli oppioidi endogeni (naltrexone).
Molto ancora c’è da scoprire sulle componenti di questa problematica, ma i trattamenti esistono e al momento danno ottimi risultati. Quel che conta è muoversi nella direzione dello stare meglio e sapere che non sei solo.
Dott.ssa Michela Arru
Psicologa e psicoterapeuta
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